La Colatura di alici è uno di quei prodotti gastronomici che risultano indissolubilmente legati a un luogo: Cetara un piccolo comune della Costa d’Amalfi, territorio dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. In questo borgo la pesca è ancor oggi un’attività economica e sociale di rilievo fondamentale. Da sempre gli abitanti di Cetara, il cui toponimo deriva probabilmente da cetarii (luogo di pescatori) o da cetarium (luogo nel quale si esegue la lavorazione dei pesci), hanno praticato quella che è una delle più antiche attività dell’uomo. La pesca delle alici, nel corso dei secoli si è poi evoluta e i cetaresi, pescatori esperti, si sono tramandati un tradizionale metodo di salatura delle alici. Fra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo furono protagonisti della colonizzazione della Costa Settentrionale dell’Africa. Per la loro abilità di pescatori e di conoscitori dei metodi di salagione del pesce azzurro, il governo francese dell’epoca incentivò il trasferimento dei campani e dei cetaresi, soprattutto verso l’Algeria, dove furono brillanti armatori ed industriali nel settore della conservazione dei prodotti ittici.
Nel Golfo di Salerno si pescavano e si pescano prelibate alici con cui dare luogo ancora oggi ad una fiorente attività di salagione: da essa deriva la produzione della Colatura d’alici di Cetara, nobile discendente del Garum romano, menzionato da Plinio, usato dal grande cuoco imperiale Apicio nei suoi banchetti.
Nella sua versione attuale la colatura differisce dal suo antenato e si presenta come un liquido ambrato, con aromi intensi, ottenuto dal processo di maturazione delle alici sotto sale, seguendo un procedimento tramandato di padre in figlio dai pescatori. Tutt’ora praticato in molte famiglie del borgo costiero se ne trova traccia nelle Memorie su l’economia campestre e domestica, un volume del 1818, autore P. Niccola Columella Onorati. Le alici (Engraulis engrasicolus) pescate con la tecnica del ‘cianciolo’, con utilizzo della lampara, nel mare antistante la provincia di Salerno, principalmente in primavera ed in estate, vengono sottoposte a decapitazione ed eviscerazione (‘scapezzate’) a mano, e sistemate a strati alterni con il sale in un apposito contenitore in legno, detto ‘terzigno’, poi sottoposto a pressione con dei pesi. Al termine del processo di maturazione (almeno 6-9 mesi), in genere agli inizi del mese di dicembre, l’ultima fase del processo consente la raccolta del liquido attraverso un apposito foro praticato sul fondo del contenitore con un attrezzo detto ‘vriale’.
Il risultato finale è un liquido limpido di colore ambrato carico, quasi bruno-mogano, dal sapore deciso e corposo, un’eccezionale riserva di sapidità che conserva intatto l’aroma della materia prima, le alici salate. Tutto è pronto per condire il piatto forte delle feste natalizie (linguine, spaghetti) a partire dalla vigilia della festa dell’Immacolata.
Il prodotto attirò l’attenzione di Gualtiero Marchesi. Nel celebre volume ‘Il codice Marchesi’ il grande gastronomo inserisce un piatto con l’uso della colatura di alici di Cetara: Insalata di spaghetti alle alici scappate dedicato al tema della leggerezza, probabilmente ispirato dal tradizionale spaghetto alla colatura, il piatto povero dei cetaresi.
Da tempo apprezzato in gastronomia grazie all’abilità dei ristoratori del territorio che lo utilizzano come ingrediente peculiare della cucina locale, ha poi varcato i confini regionali ed è ora usato da numerosi chef di chiara fama.
Dal 2003 Slow Food ha riconosciuto il Presidio della Colatura Tradizionale di alici di Cetara. Sono in corso le procedure per il riconoscimento della Dop.
Testo a cura di Secondo Squizzato
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